Ho sempre amato la poesia e ho sempre amato le potenzialità offerte dal medium digitale: la struttura dinamica e non lineare, il matrimonio tra testo, audio e immagini del multimedia, le possibilità di creare strutture controllate ma non deterministiche grazie ad algoritmi generativi.

Questo amore mi ha portato ad esplorare diversi modi di "fare poesia" (anche se il termine è fondamentalmente sbagliato, la poesia, quella vera, è "poesia e basta") e di raccontare storie.

Ho iniziato nel 1995 con strutture ipertestuali per poi passare al multimedia per il web (1999-2010), ambienti poetici 3D immersivi (1999), DVD generativi (2004-2007), poesie e narrazioni per twitter (2009-2012), fino ad arrivare alle narrazioni transmediali che raccontano storie attraverso eventi "live" in ottica ARG (alternative reality game) su ebook, twitter, youtube e facebook (2012).

Negli ultimi anni ho esplorato le possibilità artistiche di software dialoganti: sistemi di chat e voce con finalità artistiche sia individuali che collaborativi (vedi DialoArt).

Qualche testo che parla del mio lavoro

Da "Per una storia della letteratura elettronica italiana" di Roberta Iadevaia, ed. Mimesis (2021):

Da "Scrivere nella rete" di Stephan Porombka, ed. Zanichelli (2012):

Da "La letteratura elettronica italiana nel contesto internazionale. Storia, autori, generi, tematiche, strumenti e linguaggi", tesi di dottorato di Roberta Iadevaia, IULM, Milano, 2020.

Un articolo sul progetto "ilVandalo" (narrazione transmediale - transmedia storytelling) del 2012:


L'artista dell'eco

Non sono mai stato un costruttore di monumenti. Le mie opere non si ergono come statue di pietra: si accendono e si spengono come falò sulla spiaggia, viste da pochi, per poco tempo. Ho sempre abitato l’effimero.

Nei primi anni del nuovo millennio ho sperimentato con la poesia digitale, DVD interattivi, ambienti 3D, Flash. Oggi nessuno può più vederli. Le piattaforme sono crollate, i supporti non esistono più. Eppure, per chi li ha vissuti, quelle esperienze sono state scintille reali. Il fuoco è spento, ma l’eco rimane.

Oggi con l’intelligenza artificiale continuo la stessa traiettoria: opere fragili, destinate a svanire, a essere rese obsolete da formati e tecnologie. Quello che resta non è l’opera in sé, ma la scia che ha lasciato: un trafiletto in un giornale, una tesi universitaria, un ricordo condiviso. Sono diventato, senza volerlo, un artista dell’eco.

Non credo che questo sia un limite. Al contrario: è la mia forma. L’arte non è mai stata davvero immobile. Anche i miti antichi sopravvivono solo perché risuonano ancora oggi, deformati da secoli di echi. L’arte liquida, l’arte effimera, non vuole essere collezionata: vuole attraversare. Vuole lasciare vibrazioni.

In questo senso mi sento vicino a chi ha scelto l’effimero come linguaggio: la land art che si dissolve nella natura, la performance che esiste solo nel corpo del momento, la poesia recitata che vive nell’aria e poi svanisce. È un’arte che non è segno, ma flusso. Non accumulo, ma passaggio.

E forse la danza è l’arte più vicina a quella digitale: corpo e respiro che si consumano nel movimento, impossibile da raccogliere davvero su un supporto. Anche la mia è una danza: danzare con algoritmi e parole, con immagini e sentimenti. Una coreografia che vive solo nel momento in cui accade.

E questo flusso, questa arte effimera, è sorella di ciò che i meditanti chiamano anicca e anatta: impermanenza e non-sé. Ogni opera come ogni respiro: nasce, muta, svanisce. Non appartiene a nessuno, non resta che come vibrazione.

Io non salvo le mie opere. Non ne costruisco mausolei. Lascio che si dissolvano come barchette di carta nel canale, sapendo che il loro viaggio ha già compiuto il senso. L’eco è la mia materia. La risonanza è la mia eredità.

Sono un artista dell’effimero, dell’eco, dell’arte liquida. E va bene così.

Qui puoi trovare alcune tracce delle mie vecchie opere di poesia digitale. Ma non tutto è accessibile a causa dell'obsolescenza, estinzione digitale, impermanenza.


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